lunedì 12 giugno 2017

La Locanda dell'Ultima Solitudine - Alessandro Barbaglia

"Se qualcosa nella vita non arriva è perché non l'hai aspettato abbastanza, non perché sia sbagliato aspettarlo".

Quando tutto sembra ingarbugliato; quando ti accorgi di avere le mani legate e la vita, incatenata, nel solito luogo, nelle solite faccende, quando anche la prima donna che ti viene a cercare ti pare essere l’unica che possa provare per te qualcosa di forte e di inaspettato, quando ti rendi conto però che quella donna, forse, non è quella che attendevi.
Perché l’altra metà del cielo si trova in un altro punto del mondo, ed intreccia fiori – come il suo nome, Viola, ne sancisce il destino - e ne ascolta il profumo, li accorda apposta per tessere come Penelope una tela fatta di suoni e di aromi, di cui però, si è stancata. 
Ma tu, proprio tu, Libero, fai ancora in tempo a fuggire, e a ritrovare quello che manca della tua gabbia toracica, costola staccata per dare forma a te, unico uomo che in modo fiabesco può ritrovare la sua principessa. E sé stesso.
E in questa storia d’altri tempi, il castello incantato non è altro che una locanda, a picco sul mare. Quella dell’Ultima solitudine, dove invece che banchetti sfarzosi, vengono servite perle di patate, dove si assapora la bellezza di quello che siamo.

“E’ tutta in legno, la Locanda, alterna le pareti scure alle finestre piene di luce da cui entra sempre un po’ di vento. E’ fatta di poche stanze e una sola certezza: se sai arrivarci, facendo tutto quel sentiero buio che ci vuol poco a perdersi, quello è il posto più bello del mondo”.

Ci vuole poco a perdersi, sì, come poco ci vuole a ritrovarsi, se si ha il coraggio di aspettare.
Ci sono persone che aspettano una vita, in difficoltà, stringendo i denti, ma quando poi trovano la parte mancante di loro, è gioia, è saltelli per aria, è sorrisi e guance gonfie di felicità.
Viola e Libero ne sono l’emblema. Essi incarnano la storia d’amore e di attesa più bella mai letta. Dove i cambiamenti e i rinnovamenti, dove la metamorfosi anche segnano il confine tra il passato inutile ed abitudinario con il futuro, in una solitudine per due, finalmente ritrovata.
E lo scodinzolio di Vieniqui chiude il sipario. 

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