"Lo vedi l'orizzonte?" ha detto una volta un amico mio. E mentre lo diceva ha indicato con la mano l'azzurro del mare che si sbagliava lontano mischiandosi al cielo.
"Lo vedo, e allora?".
"E allora, a guardarlo da qua, pare che là in fondo ci sta la fine di ogni cosa. Però poi, quando ci arrivi, ti accorgi che non era la fine, ma solo l'inizio di un altro orizzonte".
"E vabbuò," ho detto io "ma questo è un fatto che lo sanno tutti".
"Sissignore, 'o ssanno tutti, ma poi nisciuno s' 'o ricorda".
Da una parte c’è Genny. Ha sedici anni ed è un ragazzo con la testa a posto; lavora come cameriere in una Napoli dei quartieri più poveri, aspettando il momento di tornare a casa da mamma, che passa la giornata a cucire orli ai pantaloni per un tozzo di pane, e che sopravvive con i tarocchi e la bombola d'ossigeno.
Dall'altra parte c'è invece, almeno all'inizio, Tania, una quindicenne studiosa che ha una madre non ingombrante nonostante il suo lavoro. Perché sì, Irene fa la poliziotta.
E il protagonista di tutta la vicenda è proprio il suo destino, avverso. Durante un turno di lavoro Irene scopre che a seguito di uno scippo finito male di due balordi in motorino, la sua bambina è rimasta uccisa.
Come si legano, allora, i poli opposti del filo che attraversa Napoli?
Il punto di incontro è che quel motorino lo guidava Genny.
E’ una vendetta più che una giustizia quella che Irene rincorre e tenta di afferrare per tutto il romanzo. Una nemesi privata, autonoma, fatta di manipolazione e sequestro, costruita attorno a tutto ciò che un membro delle forze dell'ordine e in primis una madre, non dovrebbero mai fare.
Eppure.
Eppure la rabbia di Irene è troppo forte. Oscura la sua vista. Oscura il suo sentimento materno. E la pietà sembra non debba arrivare mai.
Eppure...
Andrej Longo nel suo romanzo "L'altra madre" narra Napoli, quella bella e quella sporca, quella pietosa sentimentale a braccetto a quella camorrista. Andrej Longo racconta di quella umanità potente e vera ed empatica e penitente. E ne crea una sceneggiatura perfetta.